Bullismo
Cos’è il bullismo? Chi sono i bulli? Bullismo a scuola e in età adulta.
Il bullismo è un comportamento aggressivo ripetuto da parte di una o più persone nei confronti di una vittima incapace di difendersi. Il bullismo non è un fenomeno recente, esiste tra i giovani da molto tempo.

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In genere, i primi episodi si verificano nella scuola secondaria, ma i semi della violenza contro i coetanei iniziano già nella scuola primaria.
Il bullismo non si manifesta sempre in modo palese, può manifestarsi anche in forma sottile, attraverso sussurri o sguardi, oppure voltando le spalle alla vittima, ignorandola o escludendola dal gruppo o dalla vita sociale.
In questi casi, è molto difficile per gli insegnanti rendersi conto di ciò che sta accadendo, e denunciare è l’unico modo per renderlo chiaro.
Che cos’è il bullismo?
Il termine bullismo viene utilizzato per definire i comportamenti aggressivi ripetuti nei confronti di persone che non sono in grado di difendersi. Di solito, i ruoli del bullismo sono chiari: da un lato, c’è un bullo che mette in atto un comportamento fisicamente e psicologicamente violento, dall’altro, c’è una vittima che subisce tale comportamento.
I bambini spesso sperimentano un disagio psicologico e l’esclusione sociale come conseguenza del fatto di essere ripetutamente umiliati anche se loro stessi non lo desiderano.
Le caratteristiche principali che permettono di etichettare un episodio come “bullismo” sono l’intenzionalità del comportamento messo in atto, la natura sistemica del comportamento aggressivo al punto da diventare persecutorio (non basta un solo episodio perché ci sia bullismo) e l’asimmetria di potere tra la vittima e il persecutore.
Secondo una ricerca ISTAT, nel 2014 oltre il 50% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni è stato vittima di episodi di aggressività, maleducazione e/o violenza da parte dei coetanei.
Comportamenti che caratterizzano il bullismo
In genere comportamenti violenti che caratterizzano il bullismo comprendono:
– Parolacce, offese e insulti;
– Diffamazione dell’aspetto e del linguaggio altrui;
– Esclusione sulla base delle proprie opinioni;
– Aggressione fisica.
Per gli psicologi si tratta di una vera e propria emergenza che può essere contrastata soltanto con interventi mirati nelle scuole.
Bullismo e Cyberbullismo
Il cyberbullismo deriva dal bullismo, è un comportamento aggressivo e ripetuto per un periodo di tempo prolungato da un individuo o da un gruppo di individui che utilizzano varie forme di contatto elettronico – internet (social, mail, WhatsApp) contro una vittima che non può facilmente difendersi.

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Tuttavia, i cyberbulli a differenza dei bulli hanno caratteristiche uniche, come la capacità di rimanere anonimi sulla rete, e di avere il controllo sulle informazioni personali della vittima.
Le vittime, invece, possono avere difficoltà a staccarsi dall’ambiente informatico, possono non essere sempre in grado di vedere il volto dell’aggressore e avere scarsa conoscenza dei rischi insiti nella condivisione di informazioni personali su Internet.
Sono queste le difficoltà da parte della vittima che a volte, sia nel bullismo che nel cyberbullismo possono portare ad atti davvero tragici.
Come capire se il proprio figlio è vittima di bullismo o cyberbullismo
Bassa autostima
- Svogliatezza
- Disturbi dell’alimentazione
- Disturbi psicosomatici (mal di testa, mal di pancia..)
- Insonnia
- Tic nervosi
- Telefonate con omissione dell’interlocutore
- Cambio scuola
Il cyberbullismo non caratterizza solo i giovani; purtroppo anche gli adulti ne sono vittime, soprattutto sul posto di lavoro. Da un’indagine condotta dai ricercatori delle Università di Sheffield e Nottingham è emerso che su 320 persone che hanno risposto al sondaggio, circa otto su dieci hanno sperimentato il cyberbullismo almeno una volta negli ultimi sei mesi.
È emerso inoltre che il 14-20% ne ha fatto esperienza almeno una volta alla settimana, un’incidenza simile a quella del bullismo tradizionale.
Il bullismo è un comportamento preventivo di natura fisica e/o verbale, caratterizzato da molestie, aggressioni e intimidazioni di natura costantemente intenzionale o deliberatamente non controllata.
Il bullismo è diretto da una o più persone contro una o più persone, soprattutto tra coetanei adolescenti o giovani adulti, e generalmente la parte perdente è debole o incapace di difendersi adeguatamente dal suddetto comportamento.
Gli studiosi che si sono occupati di questo fenomeno a livello accademico non hanno necessariamente la stessa definizione di bullismo, ma gli stessi studiosi concordano sul fatto che il bullismo è una particolare forma di comportamento aggressivo, che si differenzia da altre forme di aggressione ed è caratterizzato da tre variabili fondamentali:
- intenzionalità;
- ripetizione;
- squilibrio di potere
Definizione di bullismo
Il bullismo è una forma di comportamento sociale violento, premeditato e intenzionale, sia fisico che psicologico, perpetrato contro una persona o un gruppo di persone percepite dal bersaglio (individuo o gruppo) come deboli e ripetuto per un lungo periodo di tempo.

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Più specificamente, il bullismo è un comportamento caratterizzato da intenzionalità, sgradito alla controparte, in grado di provocare gravi danni psicofisici. L’obiettivo è tentare di ingannare o ridicolizzare la vittima.
Inoltre, è sempre finalizzato a definire ruoli e status nel “gruppo” secondo una rappresentazione della realtà (spesso distorta).
Come disinnescare il bullismo
Il ruolo del pubblico è fondamentale. Senza il contributo del pubblico, la maggior parte dei bulli si sgonfierebbe rapidamente. Questo perché è il pubblico a determinare lo status di leader del bullo, dandogli così la possibilità di sottomettere e umiliare altri ragazzi.
Non è un caso che la letteratura popolare sulla lotta al bullismo incentri le proprie strategie di prevenzione sul ruolo del pubblico e sull’importanza che esso può assumere durante un attacco.
A seconda del loro comportamento, gli spettatori possono fungere da facilitatori, facendo da ala e radunando i bulli, alimentandone l’aggressività e la violenza, oppure possono agire da deterrente, minando l’aggressività o eliminandola del tutto.
Studi e ricerche basati sull’analisi di episodi di bullismo ripresi da telecamere, soprattutto in molte scuole statunitensi, hanno dimostrato che gli interventi di membri del pubblico a sostegno della vittima o contro il bullo, possono calmare un episodio di bullismo entro 10 secondi dal suo inizio.
Effetti a lungo termine del bullismo
Essere vittima di bullismo da bambino può essere spiacevole nel breve periodo, ma è un fattore che aumenta il rischio di sviluppare diversi tipi di disturbi durante l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta.
Molti studi hanno dimostrato che le vittime di bullismo durante il passaggio dall’adolescenza alla giovane età adulta continuano a manifestare un grado significativo di disturbi come la fobia quadratica, il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo da attacchi di panico, la dipendenza, la psicosi e la depressione.
Ciò che è ancora meno noto è che non solo essere vittima di bullismo aumenta la probabilità di sviluppare un disturbo, ma anche essere un bullo aumenta la probabilità di sviluppare un disturbo. Infatti, per coloro che sono stati sia vittime che bulli in passato (vittime che diventano bulli o che mettono in atto comportamenti di bullismo allo stesso tempo), il rischio di disturbo depressivo, di disturbo da panico, di fobia, aumento del rischio di suicidio.
Le persone invece che sono state vittime di bullismo in passato, hanno anche un rischio maggiore di sviluppare il disturbo antisociale di personalità.
Etimologia di bullismo
In italiano, la parola bullismo è una trasposizione dall’inglese bullying, facilitata dall’omonimia etimologica e quindi ha scarsa rilevanza etimologica; secondo il dizionario online Harper’s, la parola bullo, da cui deriva questo verbo, risale al 1530, ma il suo significato è molto diverso da quello moderno.
Nel 1500, bullo significava innamoramento, molto probabilmente derivato dalla parola olandese boel, che significa amante; nel XVII secolo, la parola cambiò semanticamente per significare prepotente o molestatore di deboli; nel XVIII secolo, la parola fu usata per indicare un protettore di prostitute.
Bullo come verbo risale al 1710 e sembra essere derivato da un sostantivo che significa vivere di molestie o intimidazioni; la forma ing (bullying) sembra aver avuto origine nel 1770 e significa ripetere lo stesso comportamento in modo ripetuto e sistematico.
Bullismo e omofobia
Il bullismo omofobico consiste in comportamenti violenti di cui la vittima è ripetutamente vittima. Questi comportamenti sono l’esclusione dai coetanei, l’isolamento, le minacce, gli insulti e le aggressioni, con l’autore o “bullo” che usa l’omofobia e il sessismo come arma di attacco. Le vittime vengono squalificate e disumanizzate.
Questi sono i contesti in cui possono trovarsi i giovani gay, lesbiche, transgender e bisessuali e tutti coloro che sono percepiti o rappresentati al di fuori del modello di genere “normativo”.
Autostima e bullismo
È probabile che i valori e il rispetto per se stessi svolgano in qualche misura un ruolo nel bullismo. Tuttavia, i dati forniti dalla letteratura sul rapporto tra autostima e bullismo sembrano essere piuttosto contraddittori.
La maggior parte degli studi in questo campo concorda sul fatto che i bambini vittime di bullismo hanno una bassa autostima e un’opinione negativa di sé e delle proprie capacità (Menesini, 2000).
In effetti, i bambini vittime di bullismo da parte dei coetanei spesso mettono in dubbio la propria autostima, generando uno stato di ansia e frustrazione. Possono anche diventare bersaglio dei bulli perché non sanno come affrontarli.
Tendono a considerare le sconfitte temporanee come permanenti e molto spesso accade che qualcun altro (qualcuno psicologicamente più forte) prenda il loro posto.
A differenza delle loro vittime, i bulli sembrano spesso avere un’alta autostima. Sono molto ottimisti e possono quindi gestire più facilmente il confronto e la pressione negativa, e quindi possono facilmente coinvolgere i loro seguaci nell’atto di bullismo
Anche se un bullo si percepisce come benvoluto, ciò non significa necessariamente che sia davvero così. Spesso i bulli credono di essere superiori e potenti, mentre in realtà non si considerano tali. A volte i bulli si comportano in modo aggressivo solo per spaventare gli altri bambini.
Uno studio condotto da Marsh nel 2001 ha dimostrato che i fattori di aggressione e vittimizzazione scolastica sono correlati a tre componenti del sé: autostima generale, relazioni con lo stesso sesso e relazioni con il sesso opposto.
In particolare, gli atti di vittimizzazione sono correlati negativamente al concetto di sé e hanno un impatto negativo sullo sviluppo dell’autostima. Per quanto riguarda l’aggressività, anch’essa è correlata negativamente con il concetto di sé e ha un impatto poco positivo sullo sviluppo dell’autostima.
Un basso concetto di sé può quindi portare a comportamenti aggressivi e alla vittimizzazione, che possono successivamente influire sullo sviluppo dell’autostima. Questi risultati sono indipendenti dalle influenze di genere (Marsh et al. 2001).
Bullismo in età adulta
Spesso si pensa che il bullismo sia un fenomeno che si verifica solo nell’infanzia e nell’adolescenza, ma non è così. Purtroppo, questa violenza continua anche in età adulta, soprattutto in spazi come il luogo di lavoro che caratterizzano la vita quotidiana degli adulti.
La forma più diffusa di mobbing sul posto di lavoro è il mobbing, ovvero atti ripetuti di aggressione fisica e morale per un lungo periodo di tempo da parte di più autori che agiscono nei confronti della vittima con l’intento di danneggiarne il benessere.
Una recente indagine sul lavoro europeo condotta nel 2012 ha riportato che il 14% dei lavoratori europei è stato vittima di comportamenti molesti sul lavoro.
Tuttavia, è difficile definire gli atti di molestia in modo isolato dall’ambiente di lavoro in cui si verificano, per questo è importante sottolineare che molti degli atti definiti “molestie” fanno parte di un modello più ampio di comportamento volto a danneggiare le vittime del mobbing sul posto di lavoro.
Leve socioculturali del bullismo
Il bullismo si caratterizza per comportamenti, specialmente di tipo verbale e denigratorio, specialmente in ambienti dominati da stereotipi e pregiudizi nei confronti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, soggetti disabili.
Di seguito alcuni contesti dove spesso accadono episodi di bullismo:
Bullismo da caserma: nonnismo
I soldati, sia uomini che donne, sono disposti ad accettare il rischio di perdere la vita per la prospettiva di una promozione se possono dare ordini alle nuove reclute. Tuttavia, in quest’ultimo caso, gli interessi personali sembrano prevalere su quelli puramente pratici.
Il nonnismo è il cosiddetto bullismo da caserma nei confronti delle reclute da parte di “anziani e nonni” in un ambiente militare.
Lo scopo del nonnismo è spesso giustificato con l’obiettivo di rendere le reclute adatte alla vita militare, ma non è affatto nobile. Infatti, coloro che praticano il nonnismo non perseguono altro scopo che quello di degradare il carattere delle reclute bersaglio attraverso insulti, intimidazioni, minacce, isolamento e alienazione.
Prove fisiche quasi impossibili, raid notturni e rituali sono le forme in cui questo fenomeno si manifesta più frequentemente. Piuttosto che insegnare o motivare le reclute a essere disciplinate, questi atti sono integrati con veri e propri crimini.
Bullismo all’interno delle carceri
Un altro ambiente noto per le pratiche coercitive è quello degli istituti di pena. Questo è inevitabile, dato che molti detenuti erano prepotenti prima di entrare in carcere e ora sono sottoposti a simili vessazioni da parte di altri detenuti e del personale carcerario.
In effetti, studi precedenti hanno riportato stime di bullismo in questo contesto fino all’81% (Dyson, 2005). Considerate le dimensioni della popolazione carceraria del Regno Unito, ciò suggerisce che, alla domanda sulle loro esperienze dirette, si stima che un minimo di circa 9.000 detenuti siano stati vittime di bullismo in un dato mese e un massimo di 69.000 detenuti abbiano riferito almeno un comportamento che potrebbe essere considerato bullismo in un mese (15 maggio 2015 (dai dati sulla popolazione carceraria del Regno Unito).
Luoghi di lavoro:
Le statistiche mostrano che il mobbing sul posto di lavoro è la forma più comune di mobbing, con una persona su sei che ne è vittima. Esistono anche molestie sessuali, di cui le donne sono le principali vittime.
Accenni storici del bullismo
Il primo in assoluto a pubblicare un articolo scientifico fu Dan Olweus, che nel 1973 pubblicò Hackkycklingar och översittare: forskning om skolmobbning (Vittime e carnefici: ricerca sul bullismo scolastico).
Heinemann, forse influenzato da analoghe riflessioni di quel periodo sull’Olocausto e le responsabilità del popolo tedesco, definiva il bullismo come “un’aggressione di gruppo verso un individuo o un altro gruppo in un qualche modo provocata da questi ultimi” e ancora i bulli come “bambini altrimenti normali che in particolari circostanze diventano loro malgrado aggressivi”.
Tuttavia, il bullismo non ebbe presso l’opinione pubblica di quegli anni la stessa risonanza che successivamente avrà, almeno fino al 1982, quando un giornale norvegese riportò la notizia del suicidio in un brevissimo arco di tempo di tre giovani di età compresa tra i dieci e i quattordici anni, vittime di atti di bullismo perpetrati ai loro danni da un gruppo di coetanei.
Nell’autunno dell’anno successivo, Olweus fu chiamato dal Ministero della Pubblica Istruzione norvegese per avviare nelle scuole di ogni ordine e grado una campagna di prevenzione e contrasto del bullismo scolastico.