Anno sabbatico: significato e origini
Con l’espressione anno sabbatico (che deriva dall’ebraico shabbat: sabato, che rimanda a sua volta al verbo shavath: cessare), si fa riferimento ad un’antica tradizione ebraica, che rimanda a delle origini molto lontane nel tempo.
A differenza dei cristiani che considerano la domenica il giorno da dedicare al Signore, invece per gli ebrei la ricorrenza più importante nel corso della settimana ricade il giorno del sabato, che deve essere dedicato al Signore. Infatti questo giorno della settimana rimanda a quello in cui Dio ha terminato la Creazione.

Seguendo un rigido rituale che ha inizio già dopo il tramonto del venerdì, i fedeli dell’Ebraismo seguono un preciso percorso che si conclude con la comparsa delle prime stelle nel cielo nella giornata del sabato. Si devono accendere in casa le candele, per segnalare la fine del lavoro che dà inizio al riposo assoluto, inoltre il capofamiglia è tenuto a recitare una sorta di benedizione, si tratta del “qiddush” che si traduce con il termine consacrazione.
Nel corso della cerimonia si benedice il vino che deve essere versato nell’apposito calice cerimoniale. Inoltre le celebrazioni in onore del sabato si concludono con la “havdalah”, che si traduce con separazione, un momento in cui si recitano ringraziamenti e benedizioni.
Durante questo rituale quindi il capofamiglia dopo aver versato nel calice il vino, accende un lume e poi cosparge l’ambiente di profumi per decretare in questo modo il termine della giornata dedicata al Signore. Ma nel corso dello shabbat è necessario non svolgere nessuna attività e consumare cibi preparati in precedenza per rispettare il riposo assoluto, che deve essere rispettato anche dagli animali.
Le origini dell’anno sabbatico
A partire dal V secolo a.C. con il termine anno sabbatico si faceva direttamente riferimento al periodo nel corso del quale si “lasciava riposare la terra” in onore a Dio, seguendo le interpretazioni delle leggi Mosaiche. Allo stesso tempo questo periodo era connotato da alcuni eventi eccezionali all’interno della società ebraica.
Infatti estendendo il senso più profondo del sabato, che nel mondo ebraico è la giornata da dedicare al riposo, si fa riferimento ad un periodo di tempo di riposo da celebrare con una cadenza di sette anni. La tradizione ebraica parlava di anno sabbatico per designare la celebrazione di un evento particolare nel quale ci si riposava dal lavoro nei campi, si lasciavano liberi gli schiavi, si cancellavano i debiti contratti.
Nell’antichità si rischiava di diventare schiavi, all’interno della società ebraica, in caso di debiti non pagati o di eventuali reati. Di fatto i trasgressori erano costretti a lavorare per il creditore o la sua famiglia, come anche per i familiari della parte lesa. Ma il creditore manteneva lo schiavo, e per sostenere la sua futura liberazione, gli versava una somma. La liberazione dalla schiavitù si condonava quando cadeva l’anno sabbatico, ossia ogni sette anni.
Come e quando si usa oggi l’espressione anno sabbatico?
Ma oggi invece con l’espressione anno sabbatico si fa riferimento ad un periodo di congedo che di solito indica un arco di tempo da destinare al riposo assoluto, lontano dagli impegni e dalla professione lavorativa.
Inizialmente il termine ha identificato il periodo da dedicare alla ricerca, che i docenti universitari si ritagliavano al di là dell’attività accademica per dedicarsi ad approfondire studi oppure all’aggiornamento. Un periodo di pausa retribuito che poteva essere richiesto dai docenti con una periodicità di ogni sette negli Usa, e due volte ogni dieci anni in Italia.
Comunemente il termine anno sabbatico è diventato sinonimo di periodo di riposo nel quale astenersi da impegni e dalla propria attività professionale. Nello specifico si è imposta l’associazione tra una lunga pausa di 365 giorni, sia dal lavoro sia dallo studio, per concedersi del tempo per se stessi, prendendosi cura del proprio benessere psicofisico.
Questa tendenza ha iniziato ad imporsi tra i più giovani come anche tra chi ha superato dei traguardi anagrafici che fanno da spartiacque con delle fasi centrali della vita, con lo scopo di mettere in connessione mente, anima e corpo.
Un modus vivendi che ha iniziato a prendere piede negli Stati Uniti coinvolgendo principalmente chi ha terminato l’università, che prima di intraprendere la propria avventura professionale sente il bisogno di prendersi un momento per capire cosa fare o solo per tirare il fiato, per riconnettere il corpo con la propria mente.
Questo anno di pausa viene vissuto seriamente soprattutto dai giovani, che decidono di porsi delle domande sul loro futuro, per arrivare così ad una piena maturazione personale oppure per incrementare il proprio bagaglio intellettuale e sociale.